• 1514-1516
  • Tiziano Vecellio
  • 118 cm x 279 cm
  • Olio su tela
  • Roma, Galleria Borghese

In occasione delle nozze tra il cancelliere della Serenissima, Niccolò Aurelio e Laura Bagarotto, appartenente ad una prestigiosa famiglia di Padova, viene commissionata a Tiziano la realizzazione di un’opera che fungesse da buon auspicio di una serena vita matrimoniale e una prole numerosa. Al tempo, infatti, era una ricorrenza accompagnare il corredo matrimoniale ad una raffigurazione di Venere, dea romana dell’amore, della bellezza e della fertilità.

L’opera, realizzata tramite la tecnica ad olio su tela dal Vecellio, rappresenta due figure femminili, dai lineamenti del volto molto simili, che siedono su una fonte marmorea che ricorda un antico sarcofago. Alla sinistra si osserva una giovane donna che indossa un abito da sposa di colore celeste, immagine di purezza e candore verginale, che presenta un sopramanica rosso simboleggiante la passione, e il capo adornato da una corona di mirto, come era tradizione al tempo degli antichi romani. La ragazza, con le sue forme morbide e generose, incarna l’ideale di massima bellezza in voga nella cultura del Cinquecento, è la cosiddetta Venere terrena. La fanciulla risulta lasciata in ombra dalle fronde di un albero che la sovrasta.

L’altra donna sulla destra, invece, appare illuminata, per questo presenta una carnagione dal colore caldo. Essa è raffigurata praticamente nuda, coperta solo da un mantello rosso, mentre innalza verso il cielo una lucerna, evidente è il riferimento alla Nuda Veritas de “La calunnia di Botticelli”. Simbolo di bellezza eterna e universale, viene definita Venere celeste. A differenza del pittore fiorentino Filipepi, i corpi rappresentati non sono definiti da una linea di contorno netta, ma le figure si fondono con l’ambientazione tramite la pittura tonale.

Il dualismo che si crea tra le due figure viene unito dalla figura centrale, che probabilmente rappresenta Cupido. Egli mescola l’acqua della fontana, o sarcofago, e sembra voler conciliare i due amori antitetici personificati dalle due donne. Sulla fonte si osserva una decorazione a bassorilievo che riporta lo stemma degli Aurelio. Posto sul bordo della fonte, circondato da un braccio della Venere terrena, un bacile riporta lo stemma dei Bagarotto e rappresenta ancora una volta un augurio alla fertilità, in quanto era il recipiente utilizzato a quei tempi durante il parto. Questo elemento potrebbe però anche essere un riferimento alla Leggenda di Pandora, in cui l’omonima protagonista, spinta dalla curiosità, apre il vaso donatole dal dio Ermes, sprigionando così tutti i mali del mondo. La giovane sposa raffigurata dal Vecellio però non commette lo stesso errore della protagonista del racconto di Esiodo, decidendo di tenere ben chiuso il bacile per evitare di contaminare il suo matrimonio e la sua famiglia dalle sofferenze terrene ed offrire allo sposo le gioie di una vita d’amore.

I due amori tra loro contrastanti vengono espressi anche attraverso lo sfondo presente alle spalle delle due figure femminili. A sinistra in corrispondenza della Venere Terrena si apre un paesaggio montuoso, caratterizzato dalla presenza di un sentiero che simboleggia il percorso da compiere per giungere alla virtù suprema. A destra, invece, dietro la Venere Celeste, si apre un paesaggio pianeggiante, disteso a perdita d’occhio, che evoca le utopie bucoliche di un luogo in cui la natura vive il suo apice di bellezza in primavera. All’interno di questo ambiente, l’artista, per sottolineare questa realtà ideale e serena, ha scelto di raffigurare una coppia di conigli che allude ad un augurio di unione feconda. L’attenzione per il paesaggio è frutto di uno studio meticoloso in cui si osservano riferimenti a “La Tempesta” di Giorgione.

Caterina Daolio, Giada Fiocchi, Roberto Giusti, Giorgia Zucchini.

Approfondimenti

Fondazione Centro Studi Tiziano e Cadore