• Max Ernst
  • 1923
  • 232×167 cm
  • Olio su gesso montato su tela
  • Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen – Düsseldorf

“Au premier mot limpide”, ovvero “Alla prima parola chiara”, è un’opera che può destare stupore misto ad inquietudine ad una prima visione, in quanto apparentemente priva di regole e senso; la spiegazione di tale stato d’animo è dovuta alla corrente di appartenenza dell’autore, ovvero Max Ernst: il Surrealismo.
Prima di analizzare il dipinto è fondamentale per il fruitore riuscire ad entrare nella mentalità del tempo, e comprendere l’intento che si nasconde dietro all’ambiguità di tale opera. L’arte del surrealismo è definita come “Arte dell’inconscio”, giacché pretende di scaturire dall’attività psichica di cui non abbiamo consapevolezza (l’inconscio, per l’appunto), la quale si manifesta attraverso azioni che compiamo in modo automatico senza ragionare, azioni ripetitive e abitudinarie ma specialmente attraverso il sogno. Particolarmente caro ai surrealisti è quest’ultimo, in quanto ritenuto una via privilegiata attraverso la quale l’inconscio si manifesta (proprio nel 1899 Freud pubblica “L’interpretazione dei sogni”), e diventerà un punto fondamentale per la definizione di Surrealismo ad opera di André Breton. Egli formulò una tesi secondo la quale era necessario che il momento della veglia, o della realtà, e quella del sogno coincidessero, in modo da creare una realtà assoluta, ossia il surrealismo, secondo la cui definizione quasi enciclopedica viene definito come “Automatismo psichico puro, attraverso il quale ci si propone di esprimere, con le parole o la scrittura o in altro modo, il reale funzionamento del pensiero. Comando del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica e morale”. La bellezza che risiede nell’arte surrealista è proprio quella di riuscire ad unire oggetti reali all’apparenza inconciliabili, che non sembrano avere nulla in comune in un luogo estraneo ad essi, generando uno scenario che potrebbe essere quello di un sogno.
Si tratta quindi di un tipo di arte figurativa non astratta, e per riuscire ad unire le due realtà sopracitate gli artisti hanno creato numerose tecniche, tra le quali il frottage (strofinamento) e il grottage (grattamento) di cui Max Ernst può essere definito un pioniere.

Non c’è da stupirsi se questo tipo di arte suscita nell’osservatore un senso di “turbamento”, bisogna ricordare che la corrente surrealista prende spunto da quella del Dadaismo, con la differenza che le modalità di azione non risultano distruttive ed anarchiche, ma costruttive e volte al raggiungimento della libertà individuale e collettiva, tramite la psicoanalisi di Freud. Max Ernst con Au premier mot limpide ci mostra un’opera che rispecchia tutti i canoni e gli obbiettivi sopracitati con chiari rimandi alla sfera erotica e simboli onirici (è possibile infatti leggere le dita incrociate come gambe affusolate di una donna e la loro congiunzione al dorso della mano come un inguine). La tela è di modeste dimensioni rispetto ad altre sue contemporanee, e solo recentemente, nel 1967, si è scoperto essere solo un frammento facente parte di un vasto ciclo pittorico. La particolarità dell’opera risiede proprio nell’unione di elementi apparentemente sconnessi tra di loro: abbiamo un muro forato dietro cui è posto un cielo blu privo di profondità, due steli a destra della figura che si concludono con dei capolini floreali spinosi che potrebbero essere di carciofo o cardi ancora chiusi, una mano femminile con lunghe unghie laccate, probabilmente il primo elemento su cui cade l’occhio osservando l’opera, un frutto rosso rotondo sostenuto dall’indice e il medio della mano incrociati a formare una X, lettera finale del nome dell’artista, e un insetto stecco che si arrampica sul muro collegato al frutto tramite un filo, messo in tensione da una biglia che gli permette di assumere una forma a M, prima lettera del nome dell’artista, asimmetrica. Gli elementi rappresentati nel dipinto sono quindi molteplici e sembra quasi lo scenario di un sogno; probabilmente la prima domanda che ci si pone osservando l’opera è “ma cosa c’entra?”. Ed è proprio questa la domanda che Max Ernst in quanto artista surrealista voleva suscitare nell’osservatore, una domanda la cui unica risposta risiede nel tentativo di conciliare due realtà all’apparenza incompatibili. La mano della donna “c’entra” perché unita ai due steli, al cielo senza profondità, al frutto rosso sferico, al filo teso grazie alla biglia e all’insetto stecco contribuisce a creare una realtà assoluta, priva di preoccupazioni estetiche e morali. È questa la risposta alla domanda, nella quale risiede il senso della bellezza surrealista.

Giacomo Zanoni