• Antonio Di Vincenzo
  • 1390-1663
  • Mattoni rossi, pietra bianca d’Istria e marmo rosso di Verona.
  • Piazza Maggiore – Bologna

La basilica di San Petronio è la quinta chiesa più grande del mondo, dopo San Pietro a Roma, San Paolo a Londra, il duomo di Firenze e quello di Milano. Vale la pena visitarla perché piena di segreti e di misteri che gli stessi bolognesi probabilmente non conoscono.

I lavori per la costruzione della Chiesa cominciarono alla fine del ‘300, periodo caratterizzato dalle invasioni barbariche , ma si conclusero solo alla metà del XVII secolo probabilmente dovuto al fatto che per fare spazio ad una chiesa di questo genere (lunga 135 m, larga 70 m e alta 60 m) era necessario abbattere ben 5 chiese, 5 parrocchie e tante case tutte attorno. Fu una grande impresa economica e di sistemazione edilizia, però era l’orgoglio della città e San Petronio fu fatta tanto grande quanto poteva essere necessaria per contenere tutta la gente della città, perché qui si facevano le assemblee civili e quelle religiose. Era la grande piazza coperta di Bologna.

Nel 1390 il comune affida ad Antonio di Vincenzo il compito di aprire il cantiere della chiesa, non orientata verso est, ma su Piazza Maggiore dove si trovavano il palazzo comunale civico, il palazzo del podestà, il palazzo dei notai e i banchi della città, in modo da collegare il potere civile, il potere legislativo ed il potere religioso. Anche se, la decisione di dedicare la basilica a Petronio, pater et protector patrie, risale già al 1388. La scelta parve ai bolognesi alquanto singolare poiché la cattedrale cittadina era San Pietro e si dovette edificare un’altra basilica per onorare il patrono della città. Data la sua funzione civile, la basilica fu trasferita alla diocesi solo nel 1929 e consacrata nel 1954.

La basilica è una chiesa continuamente in divenire. I lavori difatti mettono le radici nel passato fino a quando doveva diventare addirittura più grande di San Pietro, tuttavia secondo la leggenda Pio IV bloccò la realizzazione di questo sogno megalomane con la costruzione del Palazzo dell’Archiginnasio parallelamente alla navata nel punto esatto in cui doveva sorgere la chiesa. Per notarne l’incompletezza si può osservare il fianco sinistro in cui si nota un arco spezzato. Si decise quindi, attorno alla metà del ‘600, di concludere tutto il processo di edificazione della chiesa nella situazione in cui si trovava: la navata centrale fu chiusa con l’abside e fu alzata la sua copertura, furono chiuse le navate laterali in modo che la basilica assumesse le dimensioni attuali. Il modello originale dell’architetto Arriguzzi, conservato nella Fabricieria, prevedeva invece una pianta a croce latina comprendente cupola e transetti mai realizzati.

Di questo progetto si realizzò solo la prima parte e si decise di cominciare a lavorare dalla facciata a salienti invece che dall’abside, come si era soliti iniziare. La decorazione della facciata ha seguito le tormentose vicende della Basilica. Attorno al 1425 Jacopo della Quercia iniziò a lavorarvi assieme ad Amico Aspertini e Alfonso Lombardi (autori rispettivamente della “Deposizione” e della “Resurrezione” sui portali laterali), e continuò fino alla sua morte avvenuta nel 1438. Cento anni dopo, Giacomo Ranuzzi iniziò il rivestimento marmoreo su disegno di Domenico da Varignana che purtroppo non venne mai completato.  Prima di morire però Jacopo della Quercia ultimò il capolavoro della Porta Magna, il portale centrale sui cui pilastri sono rappresentate scene dell’Antico Testamento, sull’archivolto 18 profeti, sull’architrave storie del Nuovo Testamento e sul timpano la Madonna con Bambino e Sant’Ambrogio e San Petronio.  Di particolare importanza sulla facciata era la grande statua in bronzo di Papa Giulio II realizzata da Michelangelo nel 1508 (il quale dimostrò di aver studiato a lungo la decorazione della basilica tanto da riprendere alcune pose per la  Cappella Sistina) che fu distrutta dai seguaci della famiglia Bentivoglio per riaffermare la libertà ed autonomia della città contro il dominio papale.

L’interno del tempio, benché costruito in diverse epoche, ha un mirabile senso classico, lontano quindi dal gotico oltremontano. È diviso in tre navate, come suggerisce la facciata a salienti, sorrette da dieci piloni a nervatura poligona con capitelli a foglie in arenaria, sui quali si slanciano gli archi e le volte: le sei campate della navata maggiore sono a pianta quadrata.  Proprio in queste navate, il 24 febbraio 1530 l’imperatore Carlo V partendo da Palazzo d’Accursio, entrò solennemente  accompagnato dai militari e vestì il manto imperiale, per andare all’altare maggiore dove lo aspettava Clemente VII per incoronarlo Imperatore. Mentre entrambi percorrevano la navata il tetto non era stato ancora ultimato, tuttavia il ruolo di Bologna, crocevia fra il Nord e il Sud d’Europa, determinò la scelta di San Petronio come luogo dell’incoronazione.

Il grande altare su cui si celebrano le eucarestie è proposto nell’antica forma papale in cui il celebrante é rivolto verso l’assemblea per i divini sacrifici ed è sormontato da un baldacchino, elemento che troviamo già negli antichi altari del II e III secolo.  Qui il Vignola ce lo propone con raffigurato episodi della vita di San Petronio, tra cui nel medaglione centrale il suo ingresso nella città.

In alto c’è l’organo più antico del mondo che lo accompagna e nel fondo San Petronio del Franceschini che chiede la protezione di Maria sopra la città affinché possa essere prospera e pacifica. Al centro si trova il crocifisso ligneo con gli angeli di due colori: blu e rosso.  Sono dodici come le dodici porte della città, i dodici apostoli e le dodici tribù di Israele e partecipano alla passione di Cristo raccogliendo il suo sangue in modo da non farlo cadere.

Nonostante questo aspetto religioso, San Petronio manteneva comunque una funzione civica: mansionari e professori dello studio sedevano nel coro cinquecentesco finemente intarsiato che raggiungeva oltre 100 posti. La chiesa di San Petronio ospitava anche delle grandi predicazioni particolarmente i quaresimali che venivano svolti il mercoledì: attorno al pulpito si alzava un grande palco dove i dignitari della città sedevano e tutto attorno vi era il popolo. Per migliorare la risonanza veniva calato un gran tappeto dall’alto, la parte centrale veniva aperta e addirittura si riusciva a sentire la predicazione dalla piazza.

Nelle navate inferiori si aprono ventidue cappelle, esternamente cuspidate ed in mattoni rossi che venivano curate e finanziate da famiglie o associazioni di arte e mestieri. Degne di nota sono la cappella di San Petronio, quella dei re magi e quella di San Giacomo sulla navata sinistra e la cappella della Madonna della Pace sulla navata destra.

La cappella di San Petronio ha un significato importante per la basilica perché il santo non era seppellito in questa chiesa ma in quella di Santo Stefano. Solo successivamente su decisione di Papa Benedetto XIV “il sacro capo” venne donato ai canonici petroniani e posto nella cappella del cardinale Aldrovandi.  Sulla parete esterna della navata che guarda sull’Archiginnasio fu posta la scritta: “Pone Lapidem Felsinae Thesaurus” (tesoro di Bologna). La cappella barocca più bella di Bologna possiede un cancello, anch’esso barocco, disegnato da Torregiani, esempio di bellezza, eleganza e del trionfo dello stile.

Cappella bolognini, la più preziosa ed elegante fra tutte le cappelle della basilica, è dedicata ai re Magi e contiene oltre alla splendida vetrata  l’affresco di Giovanni di Paolo di Modena in cui si illustrano la vita di San Petronio, la storia dei re Magi, il giudizio e l’inferno, in questa transenna marmorea gotica disegnata da  Antonio di Vincenzo. Nella parte superiore del grande dipinto è raffigurata l’Incoronazione della Vergine cui assistono il paradiso e i santi. Nella parte inferiore invece sono rappresentati i dannati raffigurati come le bolge di Dante Alighieri con al centro il diavolo che non ha la bocca e l’apparato sessuale ma ha due bocche perché mangia e distrugge tutto, affiancato dalla rappresentazione del profeta Maometto.

Punto fondamentale dove é addirittura conservato il cuore della sorella di Napoleone, Elisa Bonaparte, Granduchessa di Toscana, è la Cappella Baciocchi in stile neoclassico rinascimentale. Il padre di Elisa acquistò la cappella che divenne una specie di vetrina del pensiero rivoluzionario francese in tutto il nord Italia. Sull’altare si trova la Madonna in trono, capolavoro di Lorenzo Costa, cui sono anche attribuiti i disegni della vetrata policroma. Tutte le chiese dovevano avere vetrate per garantire l’illuminazione interna. L’intenzione di San Petronio era di averne alcune bianche e alcune colorate così da avere sempre una luce illuminante piena di colori e suggestioni, ma anche di immagini che possono portare all’elevazione dello spirito, scopo delle chiese.

Nella cappella della Madonna della Pace si trova l’altare della Vergine Maria, con l’immagine della Madonna in pietra d’Istria di Giovanni Ferabech (che era precedentemente posta fuori, nel basamento),  incorniciata da un frontale dipinto da Giacomo Francia. Viene definita Madonna della Pace poiché qui veniva esercitata la conciliazione tra i cittadini che non avevano denaro per potere andare nei tribunali e quindi il giudice di pace cercava, sotto lo sguardo di Maria, di riconciliare le opposte tendenze. È qui, in questa cappella dove sono onorate le reliquie dell’ultimo beato che Giovanni Paolo II ha dichiarato venerabile Bartolomeo dal Monte,  grande predicatore delle città bolognesi.

All’altezza dell’undicesima cappella di destra si innalza il campanile di Giovanni da Brensa alto 65 m. Nella torre campanaria sono installate quattro campane risalenti al XV secolo: la Grossa e la Mezzanella fuse nel 1492 da Michele Giovanni Garrelli, la Piccola di Anchise Censori del 1578 e infine la Mezzana fusa da Antonio Censori figlio di Anchise. La Mezzanella è anche detta la scolara in quanto scandiva l’inizio delle lezioni universitarie all’Archiginnasio.

Altro elemento caratteristico della chiesa è la meridiana.  Il 21 giugno 1665, Giandomenico Cassini, riprendendo il lavoro di Danti precedentemente distrutto durante i lavori di allungamento della chiesa, eseguì la prima misura necessaria alla realizzazione della stessa alla presenza di tutta la cittadinanza. Si sarebbe posta la prima pietra di una scienza che andava restaurata significativamente: nasce l’astronomia come scienza sperimentale e galileiana.

La meridiana è uno strumento di incomparabile accuratezza grazie alle sue dimensioni: oltre 67 metri della linea meridiana e 27 metri in altezza del foro gnomonico situato nella quarta navata di sinistra della basilica. Strumento di grande precisione per misurare il tempo (Il più grande del mondo), usa il transito del sole attraverso il meridiano celeste proiettato sulla linea meridiana. Cassini verificò così l’esattezza della riforma gregoriana del calendario, determinando la precisa data dell’Equinozio primaverile. Essa ha due funzioni principali: la prima è di indicare il Mezzogiorno per ogni giorno dell’anno e la seconda è una funzione goniometrica, cioè i raggi solari assumono ogni giorno una diversa angolazione a Mezzodì. È una meridiana solare: la chiesa fa da camera oscura, i raggi solari, entrando dal foro, si proiettano sulla linea meridiana che è la 600 millesima parte del meridiano terrestre. Così si ottiene l’istante in cui il Sole è in Meridie, cioè attraversa il Meridiano Lungo, in altre parole il momento del mezzogiorno vero locale. Poco prima del Mezzogiorno, quando il Sole è in grado di entrare dall’apertura, si riesce a vederne la sua immagine proiettata sul pavimento; col passare dei minuti, essa si avvicina sempre più alla Linea Meridiana. Nell’esatto istante in cui è centrata, sono le ore 12 e coincide con la massima altezza del Sole sopra l’orizzonte. Pur essendo molto preciso, lo strumento ha subito un dissesto strutturale nell’ultimo secolo: uno sprofondamento della pavimentazione e uno spostamento del foro che causano errori sistematici dovuti all’assestamento della basilica.

La linea meridiana però, serve anche alla regolazione dell’orologio posto a pochi metri da essa. Nel 1750, monsignor Zambeccari, commissiona a Domenico Maria Fornasini la realizzazione di un orologio a doppio quadrante che permetteva ai cittadini di confrontare il sistema italico e quello francese in un periodo di transizione. Sono 2 macchine distinte unite assieme da una barra e mosse da un unico pendolo, che garantisce la sincronia tra loro ed era il sole a dare l’istante zero della regolazione delle macchine.

Sofia Lenzi e Agnese Pedretti