• Andrea Mantegna
  • 1465-1474
  • Affresco
  • Mantova – Castello di San Giorgio

La Camera degli Sposi si trova nel Castello di San Giorgio a Mantova e viene chiamata anche Camera Picta, cioè dipinta proprio perché celebre per il ciclo di affreschi che ricopre le sue pareti, capolavoro di Andrea Mantegna, realizzato tra il 1465 e il 1474. Mantegna studiò una decorazione ad affresco che investisse tutte le pareti della stanza cubica (circa 8 metri per lato) e le volte del soffitto, adeguandosi ai limiti architettonici dell’ambiente, ma al tempo stesso sfondando illusionisticamente le pareti con la pittura, come se lo spazio fosse dilatato ben oltre i limiti fisici della stanza. Il tema generale è una celebrazione politico-dinastica dell’intera famiglia di Ludovico Gonzaga  che commissionò l’opera.

La stanza aveva una duplice funzione: era una sala delle udienze, dove il marchese riceveva gli ospiti e trattava affari pubblici, ma era anche una camera da letto di rappresentanza, dove Ludovico si riuniva con i familiari, in una situazione quindi più informale. L’interpretazione tradizionale lega gli affreschi all’elezione al soglio cardinalizio del figlio del marchese Ludovico, Francesco Gonzaga, avvenuta il primo gennaio 1462: la scena della Corte rappresenterebbe quindi il marchese che ne riceve la notizia e quella dell’Incontro mostrerebbe padre e figlio che si trovano nel felice evento. La figura matura di Francesco tuttavia non è coerente con la sua età nel 1461, di circa 17 anni, testimoniata invece da un suo presunto ritratto conservato oggi a Napoli. Si è pensato quindi che gli affreschi celebrino la venuta di Sua Eminenza a Mantova nell’agosto del 1472.

Dopo la morte di Ludovico, la stanza e il suo ciclo subirono una serie di trasformazioni, che spesso ne degradarono, oltre che la conservazione fisica, anche il ruolo nella storia dell’arte. Pochi anni dopo la morte del marchese la camera risulta adibita a deposito di oggetti preziosi: forse per questa ragione a Vasari non fu permesso di visitarla. Durante l’occupazione imperiale del 1630 subì numerosi danni, per poi essere praticamente abbandonata alle intemperie fino al 1875 circa. la Camera degli Sposi cominciò ad essere chiamata così da Carlo Ridolfi per la presenza predominante di Ludovico raffigurato accanto alla moglie, non tanto perché si trattasse di una camera nuziale.

La tecnica usata da Mantegna, che prevedeva in alcuni episodi parti a secco più o meno ampie, non facilitava la conservazione e si hanno notizie vaghe di restauri prima del XIX secolo. Quelli successivi, fino a quello del 1941, furono numerosi ed inadeguati. Finalmente nel 1987 si procedette a un restauro capillare con tecniche moderne, che ha recuperato tutto quanto sopravvissuto, restituendo l’opera agli studi e alla fruizione pubblica. Il terremoto che ha colpito l’Emilia-Romagna nel 2012, ha riaperto una vecchia spaccatura che corre verticale e poi obliqua nella scena della Corte ed ha staccato una porzione di intonaco dipinto.

Nella parete nord è raffigurata La corte di Ludovico Gonzaga su una sorta di piattaforma rialzata che si appoggia alla struttura reale del camino. Al centro vi è il marchese Ludovico Gonzaga che siede con una lettera in mano e parla con un servitore dal naso alquanto prominente; secondo un’interpretazione tradizionale, la lettera che Ludovico riceve conterrebbe l’invito da parte di Bianca Maria Visconti, preoccupata per l’aggravarsi delle condizioni del marito Francesco Sforza, a recarsi a Milano per prendere il comando delle truppe e difendere la città. Sotto la sua sedia sta accucciato il cane, simbolo di passione per la caccia, di potere e di fedeltà. Quasi di fronte a Ludovico vi è la moglie, Barbara di Brandeburgo, a cui una bambina sta porgendo una mela. Intorno ad essi vi sono altri personaggi, alcuni dei quali si distinguono per particolari caratteristiche come la nana ad esempio, che rendono, con i loro abiti preziosi e i loro volti dipinti con precisione, il vivace ambiente della corte.

Più enigmatica è la scena della parete ovest: a destra avviene l’incontro tra il marchese Ludovico e il figlio Francesco  appena ritornato da Roma; alla scena assistono anche Federico, l’altro figlio del marchese, l’imperatore Federico III d’Asburgo e Cristiano I di Danimarca. Nell’affresco in esame viene rappresentata anche una delle prime scene di dolcezza e tenerezza dell’infanzia, dove una madre e una figlia si tengono per mano. Sullo sfondo è rappresentata Roma, in cui si riconoscono il Colosseo, la Piramide Cestia, il Teatro di Marcello e le Mura Aureliane: in questo modo Mantova e la sua corte raccolgono e perpetuano l’eredità di Roma.

Al centro della volta, dipinta con motivi classici a monocromo, si trova un oculo, come se la volta reale si aprisse verso il cielo. Nell’oculo si osservano dal basso una dama di corte accompagnata da una serva di colore (che però potrebbe anche essere San Zeno), un gruppo di domestiche, putti e un pavone appoggiati alla balaustra. Si tratta di una delle invenzioni più stupefacenti del Quattrocento italiano, in cui lo spazio della stanza scompare in un cielo blu, e i visitatori diventano come personaggi che si affacciano, attori e spettatori al tempo stesso. A rafforzare l’illusionismo creato da Mantegna, alcuni putti sono in bilico aggrappati alla cornice in posizione precaria, mentre altri hanno il corpo nascosto dalla balaustra del balcone facendo spuntare così solo la testa e le mani. Il complesso dà la sensazione di vertigine ed instabilità.

Giulia Peli

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