• Masaccio, Masolino da Panicale, Filippino Lippi.
  • 1424 – 1480 circa
  • Affresco
  • Firenze

Nella Firenze del XV secolo si formarono grandi artisti, destinati a modificare per sempre la storia dell’ arte, ispirati dagli ideali del fiorente Rinascimento. Tra le strade della città toscana, che al meglio ha incarnato l’essenza di questo movimento culturale, sbocciarono nel ‘400 nuove opere architettoniche, caratterizzate dall’ armonia e dalle forme geometriche di stampo romano. Non solo l’architettura, ma tutte le arti furono investite dalla ripresa dei caratteri classici: letteratura, scultura e pittura rinacquero, rompendo con i canoni gotici trecenteschi e con l’ideologia medioevale. Da questo momento in poi, l’uomo non fu più semplicemente parte dell’ Universo, bensì il suo centro, capace di autodeterminarsi e dominare la natura con la sua volontà. Questa fioritura delle arti non fu un caso, in quegli anni, infatti, le famiglie borghesi della città, al fine di promuovere la magnificenza del loro potere, si impegnarono in un’ intensa attività di mecenatismo, che richiamò alle corti un gran numero di artisti. Tra le famiglie che godono maggior fama sicuramente vi è quella dei Medici, con la quale Firenze assunse una spiccata egemonia culturale; tuttavia ci furono altre importanti signorie, come i Brancacci, che si contendevano i migliori artisti dell’epoca. Felice Brancacci, ricco mercante della seta, commissionò uno dei più importanti cicli di affreschi del primo Rinascimento, realizzato nella Cappella Brancacci, all’interno della chiesa di Santa Maria del Carmine.

Nel 1423, di ritorno da un viaggio in Egitto, l’uomo affidò la decorazione dell’ambiente a uno dei padri fondatori del Rinascimento, Masaccio, affiancato dal maestro Masolino da Panicale. Tuttavia, a causa del trasferimento di quest’ultimo in Ungheria e della precoce morte del primo, l’opera fu completata da Filippino Lippi intorno al 1480. La cappella subì inoltre I danni di un incendio che, nel 1771, distrusse quasi completamente la chiesa, e solo recentemente è stata sottoposta a un restauro che ha rivelato l’eccezionale brillantezza e vivacità degli affreschi. A partire dal 1424, dunque, Masaccio e Masolino si divisero un piccolo spazio di sette metri di profondità per cinque di altezza. Il ciclo è introdotto da due scene della Genesi, raffigura le storie di San Pietro, dimostrando la riaffermazione del Papato, rievocato nella figura del santo. Questo tema si riferisce al termine della cattività avignonese, avvenuta nel 1417, e testimonia il sostegno che aveva il committente per papa Martino V. La cappella è organizzata in tre registri, coperti da volta a crociera.

Masaccio si occupò principalmente della parete sinistra rispetto all’entrata, Masolino di quella destra. Il primo pannello, introduzione all’opera di Masaccio, raffigura la cacciata dei progenitori dal Paradiso Terrestre. Adamo ed Eva sono essenziali, senza alcun orpello e alcuna ricerca del bello e del grazioso, esprimono invece drammaticità e un forte pathos. Il dipinto è una sorta di manifesto del Rinascimento, con la sua nuova concezione dell’uomo al centro del mondo. Essi piangono, in preda alla disperazione, riprendendo lo sconforto esternato dall’angelo di Giotto nella cappella degli Scrovegni. La luce, incidente, crea ombre che rendono plastici e reali I corpi nudi. Un dettaglio che attira attenzione è il colore degli arti inferiori, scuro e senza vita, quasi a voler rendere visibile la morte, che è entrata nell’uomo al momento del peccato orginale. Lo stile brutale di Masaccio si contrappone a quello goticheggiante dell’opera di Masolino, in cui i soggetti della Tentazione di Adamo ed Eva stanno immobili, resi con armonia classica e ricerca di dolcezza, con volti che non esprimono alcuna emozione, del tutto inconsapevoli del dramma che li attende. I personaggi sono inseriti in una cornice di elementi architettonici e naturalistici particolareggiati, tipicamente gotici.

Il sentimento, il plasticismo e la luce sono tre delle grandi novità introdotte da Masaccio, con l’aggiunta dell’utilizzo della prospettiva scientifica di Brunelleschi, che si può notare nell’affresco del Tributo, il più celebre dell’opera. L’ immagine illustra un episodio del Vangelo di Matteo, che narra di un gabelliere romano che chiese a Gesù e ai suoi apostoli un tributo per poter accedere al tempio di Cafarnao ma, dato che essi non possedevano denaro, Gesù invitò Pietro a recarsi al lago Tiberiade, dove avrebbe trovato una moneta all’ interno della bocca di un pesce. Estratta la moneta, Pietro paga il tributo. Queste tre diverse scene vengono rappresentate in un’unica opera. Il movimento scenico parte dal centro, da Cristo, che indica a Pietro il lago, dopo avere ascoltato la richiesta del gabelliere, di fronte a lui. A sua volta, il braccio dell’apostolo prosegue la dinamica, indicando anch’esso il lago. Il tutto si conclude all’ estrema destra, in cui il gabelliere riceve il pagamento. I volti degli uomini richiamano  quelli di filosofi greci, e la resa della loro fisicità, reale e massiccia, prende spunto dalle sculture di Donatello. La disposizione a semicerchio degli apostoli attorno a Gesù, la forma appiattita delle aureole, le montagne digradanti e le nuvole di scorcio impostano una lucida prospettiva, con il punto di fuga nel volto di Cristo, che rende l’opera estremamente equilibrata. 

Laura Schirru

Approfondimenti

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