• Leonardo da Vinci
  • 1488-1490
  • Olio su tavola
  • 54,8×40,3 cm
  • Museo Nazionale – Cracovia

Opera realizzata da Leonardo  nel 1489-1490 durante il suo primo soggiorno a Milano, ebbe notevole successo sin dal suo completamento. Dopo l’arrivo del quadro a Cracovia nel ‘400, venne completamente dimenticato, ma ritornò ad essere famoso alla fine del XVII secolo. Il principe Adam Jerzy Czartoryski acquistò il dipinto nel 1800 ed entrò a far parte della collezione privata della sua famiglia. Il trasferimento dell’opera avvenne molteplici volte per sicurezza, come nella capitale della Francia nel 1830 a causa dell’insurrezione polacca. Durante la seconda guerra mondiale, il dipinto sopravvisse ai bombardamenti dei sotterranei del castello di Wawel e lì fu ritrovato, portato via dai nazisti dopo l’occupazione della Polonia e restituito nel 1946. Nel 2016 la fondazione dei principi Czartoryskida vende la Dama con l’ermellino al governo polacco per la cifra di 100 milioni di euro; infine il 19 maggio 2017, è stata trasferita al museo nazionale di Cracovia. Dalle ricerche sul committente è emerso il nome di Ludovico Sforza il Moro. Egli sembrerebbe aver commissionato il dipinto dopo aver ottenuto il titolo di Cavaliere dell’ordine dell’ermellino dal re di Napoli.

Sul soggetto di questo quadro ci sono molteplici supposizioni, ma la più accreditata è quella che vede nella dama Cecilia Gallerani, amante di Ludovico il Moro, e a rendere più credibile questa ipotesi è la presenza dell’ermellino, simbolo del committente. Argomentazione rafforzata dal fatto che il nome dell’animale in greco è detto “γαλή”, la cui pronuncia è galè, difatti l’assonanza della pronuncia grecaallude al cognome della donna e l’utilizzo dell’artista di queste associazioni non è nuovo. Un’altra teoria vede nella dama Madame Ferron, l’amante di Francesco I di Francia, ad essere stata ritratta, per via della scrittaLA BELE FERONIERE LEONARD D’AWINCI”, situata nell’angolo superiore sinistro del quadro. Questa tesi viene smontata dal fatto che la scrittaD’AWINCI” è una trascrizione polacca, in modo da pronunciare correttamente in polacco “da Vinci”, e dal fatto che nella sua vita Leonardo non ha mai soggiornato in Polonia. L’ultima ipotesi è che la dama sia Caterina Sforzasi ipotizza che questo quadro sia stato dipinto in memoria della morte di Galeazzo Maria Sforza, padre di Caterina, a causa di una congiura. La collana di Granato viene vista come simbolo del lutto e l’ermellino fa riferimento al simbolo araldico di Giovanni Andrea Lampignani, l’assassino di Galeazzo.

Leonardo superò lo schema quattrocentesco della figura a mezzo busto e di tre quarti con quello del torace in una duplice rotazione. L’innovazione sta anche negli sguardi dei due soggetti, che rivolgono la loro attenzione come se osservassero qualcuno giunto nella stanza. L’ermellino e la dama sembrano accomunati dai tratti e dalle espressioni candide e vivide, ma allo stesso tempo distaccate, maestose, forti e decise. Lo sguardo simboleggia tre qualità della dama: intelligenza, raffinatezza ed eleganza. La donna e l’animale sono messi alla pari anche da una certa armonia. Si nota un accenno di sorriso, tratto tipico di Leonardo che prediligeva una lieve esternazione delle emozioni a un’eclatante esplicitazione di quest’ultime. La mano è accentuata dalla luce, i movimenti dell’arto sono segno di grazia e delicatezza. Da essa traspare la cura dei particolari come i contorni delle unghie, le rughe intorno alle nocche e il tendine, denotano la grande maestria del superbo studioso di anatomia quale era Leonardo. L’abito è curato nei minimi dettagli, ma non è troppo sontuoso, il che rispecchia l’umiltà della dama. L’unico gioiello è la collana di Granato, probabilmente un regalo del suo amante Ludovico che simboleggia l’amore fedele. I colori scuri della collana creano un meraviglioso contrasto con l’incarnato chiaro. Le maniche dell’abito sono protagoniste per complessità, come era solito in quell’epoca. Esse sono di due colori diversi, impreziosite da nastri adibiti al loro cambio. Nel viso si nota una striscia di tessuto nero che cinge la fronte, permettendo la stabilità di uno stretto velo sotto il mento, fatto di lana, con alcuni punti ricamati in oro, dello stesso colore dei suoi capelli, acconciati in una lunga treccia che cade morbida sulla spalla.

Da Vinci immortala il movimento della dama come una fotografia, che permette la perfetta comprensione del carattere e delle emozioni vissute in quel momento, rendendo così visibile non solo l’esteriorità della protagonista ma anche la sua sfera psicologica. Dell’ermellino, simbolo di purezza e incorruttibilità nel medioevo, si narra che pur di non sporcare la sua pregiata pelliccia riparandosi in tane sporche, l’animale si faceva catturare, prediligendo la morte. Leonardo in un suo bestiario descrive la bestia così: “l’ermellino per moderazione mangia soltanto una volta al giorno, e preferirebbe di gran lunga essere catturato dai cacciatori piuttosto che rifugiarsi in una tana sporca, soprattutto per non rovinare la sua purezza“. Si pensa che ci sia stato un errore nel riconoscimento dell’animale, che non sarebbe un ermellino, bensì un furetto bianco. Il furetto bianco è facilmente riconoscibile nel bosco, è un animale quieto, addomesticabile e utilizzabile in maniera semplice come modello, esso si oppone all’ermellino che è aggressivo, selvatico e difficile da ammaestrare. Un altro punto di differenza sono le dimensioni, il mansueto furetto misura tra i 40 e i 60 cm, mentre l’ermellino, animale di più piccole dimensioni non supera i 30 cm. Forse Leonardo si ispirò ad un animale catturato, tralasciando la tradizionale iconografia. Ci sono stati dei lavori di restauro, ma alcuni danni sono irreparabili, come le crepe nell’angolo superiore a sinistra. La tonalità dello sfondo è scura e si pensa che a occuparsene sia stato Eugène Delacorix. Prima del restauro del XIX secolo, lo sfondo molto più chiaro, forse grigio tendente al blu. In più si è scoperto che inizialmente sopra la spalla sinistra della donna, era stata dipinta una finestra, particolare svelato da un’analisi con i raggi X.

Matilde Marchioni