• Caspar David Friedrich
  • 1823/1824
  • Olio su tela
  • 92×128 cm
  • Hamburger Kunsthalle – Amburgo

Negli anni 20 dell’Ottocento, il collezionista di opere Johann Gottlob von Quandt commissionò due quadri per rappresentare il Sud e il Nord della Germania. L’abbondante e splendida natura del Meridione fu affidata a Johann Martin von Rohden, mentre per la terrificante e bellissima natura del Settentrione venne scelto Caspar David Friedrich.

Nato a Greifswald il 5 settembre 1774, Caspar David Friedrich rappresenta uno dei maggiori esponenti del romanticismo pittorico tedesco. Influenzato dal contesto culturale e dall’educazione protestante egli raffigura nei suoi dipinti principalmente paesaggi naturali, connotati da un profondo significato spirituale e religioso, una natura divina, simbolo della potenza di Dio. Scrive di lui Schopenhauer descrivendolo: “Fedele al vero sin nel minimo particolare, i suoi paesaggi hanno una religiosità malinconica e misteriosa. Colpiscono l’animo più dell’occhio”. Particolare attenzione è infatti quella che pone riguardo agli effetti di luce e le successive emozioni che potevano scaturire nell’animo dell’osservatore. Morì a Dresda nel 1840 in seguito a problemi psicofisici.

L’opera realizzata per la commissione di von Quandt è un dipinto intitolato “Il mare di ghiaccio” (in tedesco “Das Eismeer”). Il quadro rappresenta il naufragio di una nave tra i ghiacci del Mar Artico. Al centro della composizione si staglia un enorme iceberg composto da varie lastre appuntite. Le linee diagonali dei frammenti disposti come una scala da destra verso sinistra, terminanti con spigoli vivi, affilati dalla luce che ci si riflette, fanno tendere la struttura al cielo. Mentre le quattro lastre poste alla base, secondo una contro-diagonale, generano un movimento rotatorio attorno all’asse centrale del dipinto.

Ai toni freddi e grigi del ghiaccio e il color ocra della neve, contrastano quelli caldi del marrone sporco e del grigio verdastro del primo piano dove si percepisce la presenza di terra che si unisce al ghiaccio. Sul lato destro della struttura centrale si nota una nave, o per lo meno i resti di essa dopo l’apparente naufragio. Infatti, si intravede solo parte dello scafo posteriore, parte dell’albero maestro, alcuni brandelli della vela e qualche corda. Sul lato opposto, a sinistra, invece si scorgono alcuni residui di una passata vegetazione, qualche tronco spoglio spunta tra le placche di ghiaccio. Infine, sullo sfondo dominano il mare e altri iceberg simili al primo, di spicco è quello posizionato sul bordo sinistro. Il cielo pare un freddo muro dietro la struttura in primo piano, interrotto soltanto al centro da una formazione nuvolosa che dona un senso di profondità all’intera opera. La luce cade dall’esterno ed ha un effetto diffuso, in grado di irradiare la drammaticità del primo piano, separandola e facendola risaltare sullo sfondo. La line dell’orizzonte posta a due terzi, insieme alle line diagonali delle placche di ghiaccio, conferiscono all’immagine una struttura ordinata. Per la realizzazione di tale opera Friedrich si ispirò probabilmente ai racconti delle fallite spedizioni al Polo Nord, avvenute nel 1819-1820, di Sir William Edward Parry con le navi HMS Hecla e HMS Griper, tanto che è possibile leggere il nome di quest’ultima su di una targa nella nave del dipinto. Inoltre, nel 1820-1821, dipinse vari studi sella formazione del ghiaccio osservando tale fenomeno sulle rive del fiume Elba nella città di Dresda, studi sicuramente implementati nell’opera.

Il tema del viaggio e della navigazione presenta un’antichissima tradizione, risalente perfino alla cultura greca ed egizia, allegoria delle continue peregrinazioni dell’uomo attraverso le avversità della vita e del mondo. Ponendo l’attenzione sull’immagine del naufragio è chiaro come questa rappresenti la fragilità dell’uomo in balia degli elementi. Il Polo Nord diventa metafora dell’eternità di Dio, in quanto visto come un luogo eterno, identico nel tempo, in cui il susseguirsi dei cicli vitali non ne cambia la natura. In questo panorama la nave diventa il simbolo della vita umana la quale fine nel regno dell’eternità è inevitabile. Il sottotitolo “Naufragio della Speranza” tradisce però quest’immagine religiosa, in cui il tentativo umano di penetrare il mistero di Dio è destinato a naufragare, dunque destinato a fallire.

Accanto a questa interpretazione ne viene spesso affiancata una di tipo politico, simile alla “Zattera della Medusa” di Géricault. Essa rappresenta la delusione della Francia napoleonica, così, il “Naufragio della Speranza”, simboleggia le ormai perse speranze della Germania durante la Restaurazione. L’opera viene comunque ultimata nel 1824 ed esposta lo stesso anno all’Accademia di Belle Arti di Praga con il titolo di “Una scena idealizzata nel Mare Artico, con una nave naufragata su una massa di ghiaccio”. Data l’innovazione compositiva e l’insolito argomento fu rifiutata dalla critica e rimase invenduta per diversi anni anche dopo la morte dell’autore. Prese poi diversi nomi con le vendite tra cui “Immagine di ghiaccio” e “La catastrofe della spedizione al Polo Nord”. Finché, nel 1905, non fu acquistata da Alfred Lichtwark, direttore della Hamburger Kunsthalle di Amburgo, collezione alla quale appartiene ancora oggi, sotto il nome di “Naufragio della Speranza”.

Bisogna aspettare fino al 1965 quando, lo storico dell’arte Wolfgang Stechow, dimostrò che il titolo era stato confuso con quello di un altro dipinto di Friedrich esposto nel 1822 nell’Accademia di Dresda, “Una nave naufragata al largo della Groenlandia sotto la luce della luna piena”, opera che ritraeva una nave di nome Hope (speranza), purtroppo persa dal 1868. Nonostante i vari nomi del dipinto, esso rappresenta oggi uno dei maggiori capolavori dell’artista e uno delle opere più importanti della collezione di Amburgo. Inoltre, rappresenta un’enorme fonte di ispirazione per molti artisti moderi/contemporanei, tra cui Paul Nash nell’opera “Totes Meer” (1914, “Mar Morto”), per Lawren Harris, per l’architetto Thom Mayne, per la Sydney Opera House, ed infine per la rappresentazione tridimensionale dell’opera, ovvero la scultura galleggiante “She Lies” di Monica Bonvicini esposta ad Oslo ed inaugurata nel 2010.

Nicolò Sensi