• Giotto
  • 1300-1305
  • Affresco
  • Padova

La Cappella degli Scrovegni, edificata a Padova, è la struttura che ospita il più esemplare e significativo ciclo di affreschi realizzato da Giotto all’ inizio del ‘300. Essa si presenta esternamente con una semplice facciata a capanna, e internamente presenta un’unica navata coperta da una volta a botte. Tra il 1303 e il 1305 l’artista fiorentino decorò interamente le quattro pareti interne con affreschi, su commissione di Enrico degli Scrovegni. Essi sono suddivisi in tre registri, scanditi orizzontalmente da cornici e verticalmente da bande dipinte a finto marmo e decorate con motivi vegetali. Entrando, il fedele osserva nei due registri superiori le storie di Gioacchino ed Anna (i genitori della Madonna), a cui seguono, nei due registri centrali ed inferiori, gli episodi più salienti della vita di Gesù. In questo ciclo Giotto raggiunge il culmine della sua arte, sia nella rappresentazione degli spazi, sia nella raffigurazione dei gesti e dei sentimenti umani. Una delle scene che trasmettono più pathos è quella del Compianto sul Cristo morto, situato nel registro inferiore sinistro. Qui, Giotto si concentra sulla gestualità dei personaggi, che si liberano di ogni rigidità del Gotico ed esprimono finalmente le proprie emozioni: il Cristo morto viene rappresentato come reale, pallido e gonfio, inerte e privo di qualsiasi regalità. Alla vista di ciò, i soggetti che assistono alla scena liberano la propria disperazione e angoscia; persino gli angeli, il cui volto viene rigato, per la prima volta nella storia dell’ arte, dalle lacrime. Per quanto riguarda la rappresentazione degli spazi, l’ artista rende la tridimensionalità tramite la prospettiva intuitiva, frutto non di calcoli matematici, bensì della sua grandiosa e assolutamente moderna capacità di osservare e riprodurre la realtà. Esempio di questo lo si trova ai lati dell’ abside, dove Giotto fu in grado di dipingere due cappelline gotiche, coperte da volte a crociera a sesto acuto, le cui linee convergono verso un unico punto di fuga, posto su uno sfondo celeste puntigliato di stelle. La gestualità, il grandissimo pathos che caratterizzano i personaggi e la resa dello spazio; innovazioni mai provate prima, fanno di Giotto il precursore dell’ epoca della fioritura dell’ arte per eccellenza: il Rinascimento. Queste trovano completezza nello straordinario affresco posto sulla controfaccia della cappella, a conclusione del ciclo: il Giudizio Finale. Esso fu volutamente posto da Giotto in questa determinata posizione, in modo tale che il fedele, uscendo dalla struttura, si trovasse di fronte a ciò che potrebbe essere il suo destino: la beatitudine o la dannazione eterna.

Realizzato su sfondo celeste, questo capolavoro può essere suddiviso in due registri, scanditi dalla figura centrale di Cristo: in quello superiore si apre la trifora, fonte di luce per l’ interno della cappella, ai cui lati sono raffigurati gli astri plasmati durante la Creazione: il Sole, posto a sinistra; e la Luna, posta a destra. Essi rappresentano il firmamento che sta per essere arrotolato da due angeli, che lasciano intravedere alle loro spalle la porta dorata della Gerusalemme Celeste, il regno eterno che nascerà il giorno in cui Cristo ritornerà sulla Terra, come annuncia l’ Apocalisse. Ai lati della trifora viene raffigurata la Gerarchia degli angeli, suddivisi in nove schiere, distinte per gruppi e colori. Partendo da destra, troviamo: le Virtù, vestite di blu zaffiro, simbolo della purezza; le Dominazioni, abbigliate di arancione, che rappresentano la pienezza; i Troni, in verde, che rappresentano la potenza divina; i Serafini, vestiti di rosso, emblema dell’amore di Dio; i Cherubini, vestiti di azzurro, simboleggianti la supremazia del Signore; gli Angeli, con le vesti verde smeraldo, custodi di ogni creatura; gli Arcangeli, vestiti di rosa, che sovrintendono alle attività degli Angeli; i Principati, abbigliati di giallo, sono il tramite tra spirito e materia; e infine le Potestà, con le vesti azzurre, impegnate nella continua lotta tra bene e male. Caratteristica importante di questo ciclo di affreschi, e che costituisce un’ ulteriore novità introdotta da Giotto, è la cura dell’artista verso la raffigurazione dei soggetti in abiti alla moda del tempo, che diventerà uno dei canoni fondamentali dell’arte quattrocentesca. Al centro dell’opera spicca la figura di Cristo, verso il quale convergono le schiere angeliche. Egli è collocato all’ interno dell’ amigdala (la mandorla che simboleggia l’unione tra la dimensione divina e quella terrena) e, in veste di giudice supremo, governa sul Paradiso, posto alla sua destra, e sull’Inferno, collocato alla sua sinistra, ed è raffigurato con i segni della passione, e il suo sguardo è rivolto verso il Paradiso. Inoltre, la sua gestualità è molto importante: verso il Paradiso Cristo apre il palmo della mano, in segno di accoglienza verso i beati; mentre all’ Inferno pone il dorso, in segno di rifiuto delle anime dannate. Ai lati della mandorla, Giotto raffigura i dodici Apostoli divisi in due gruppi, sotto i quali si sviluppano i due regni eterni, separati dalla croce di Gesù. Curiosità di essi, come sottolinea anche Dario Fo, è la tipologia di anime collocate al loro interno: nel Paradiso ci sono i nobili, e all’Inferno coloro che appartengono a classi sociali più basse. Questo perché secondo la visione di allora, solo chi aveva un’ animo gentile, chi esercitava una buona professione o chi era molto ricco poteva avere accesso al Paradiso. Il sangue di Cristo, sotto forma di giustizia, si riversa nella montagna scavata dell’Inferno, dove brucia come fuoco. Qui, con un senso grottesco e satirico, Giotto raffigura un gigantesco diavolo, Lucifero, che ingoia dannati; e tante altre creature infernali che fanno scontare le pene alle anime. La scena è presentata nel disordine e nella drammaticità più totale, in cui le anime si accavallano e gridano per poter sfuggire alla loro punizione. L’ orrore infernale è contrapposto all’ordine e alla calma del Paradiso, nel quale Giotto rappresenta due schiere parallele di beati, scortati da angeli. Il gruppo superiore, formato principalmente da Santi, è guidato da Maria, avvolta da una grande luce. Nel corteo inferiore, a differenza di quello sopraccitato, nessuno, a parte gli angeli, è rappresentato con l’ aureola: questo perché di questa schiera fanno parte le persone che attendono il giudizio divino. In questo corteo sono anche raffigurati Dante Alighieri, vestito di giallo e con una corona d’ allora in testa; e Giotto stesso, vestito di rosa. Un particolare molto interessante di questo dipinto è la raffigurazione del committente, Enrico degli Scrovegni, con il modello della cappella in mano.

È interessante conoscere il motivo della realizzazione di questo particolare e di questo affresco, ma ancor prima, ciò che mosse Enrico Scrovegni ad erigere la Cappella. Secondo alcuni studiosi fu la volontà di riscattare l’anima del padre Reginaldo dalle pene ultraterrene cui sarebbe stato destinato in quanto usuraio. Essendo però Enrico stesso un banchiere molto importante, probabilmente cercò di allontanare da sé il rischio di avere la stessa sorte. La decorazione interna alla Cappella conferma quanto sopra citato: la scena di dedica, realizzata da Giotto, può essere interpretata come una restituzione simbolica di quanto era stato lucrato con l’usura. Il gesto era in linea con le condizioni poste dalla chiesa per rimettere il peccato. Rilevante è anche la presenza di usurai nelle scene dell’Inferno e nella figura allegorica dell’Invidia che rappresenta Giuda impiccato che fronteggia il Giuda che riceve la borsa dei trenta denari. Tutte le storie rappresentate nella cappella alludono allo stesso tema: la salvezza dell’uomo, da ciò risulta evidente la funzione allegorica dell’affresco. È stato recentemente ricostruito un quadro generale di Padova ai tempi in cui Giotto dipinse la Cappella degli Scrovegni grazie alla mostra “Giotto e il suo tempo”: la città risultava ormai protagonista in un sistema di alleanze che si estendevano a tutto l’ambito tosco-padano. Come conseguenza vi furono scambi culturali nel settore della scultura e dell’architettura, come è testimoniato dalle statue che Giovanni Pisano realizzò per la Cappella degli Scrovegni. Padova svolse un ruolo di eccellenza internazionale anche negli studi, grazie all’Università, ma anche nella musica e nella miniatura, settore destinato a svilupparsi per tutto il corso del Trecento. Attraverso il potenziale delle risorse intellettuali, i governanti padovani poterono far sentire la loro influenza in città quali Vicenza, Belluno, Feltre, Trento, Rovigo, Udine e Trieste e godere di un’eccezionale periodo di ricchezza.

Laura Schirru e Francesca Zangaro

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Cappella degli Scrovegni