• Definito da Plinio il Vecchio e aiutato da Agesandro, Polidoro e Atanadoro.
  • I secolo a.C
  • Marmo
  • 242 cm
  • Musei Vaticani – Roma

Il Laocoonte fa parte di un movimento artistico denominato “Ellenismo”,  termine coniato dallo storico tedesco Johann Gustav Droysen, che intorno al 1840 pubblicò per primo una Storia dell’Ellenismo“Hellenismós”  in greco significa “imitazione dei greci”. Droysen utilizzò questo termine per indicare che in questa età si ebbe la massima diffusione della cultura greca. L’Ellenismo è quel periodo che va dalla morte di Alessandro Magno, 323 a.C, fino alla conquista romana dell’Egitto seguita poi dalla battaglia di Anzio, 31 a.C. ed è  diviso in 2 parti: Alto, comprende tutto il III secolo; Basso: comprende il I e il II secolo.

Nel gruppo scultoreo è rappresentato Laocoonte, sacerdote troiano e fratello di Anchise, figura mitologica, insieme alla prole, composta da Antifante e Timbreo. L’opera è anche chiamata ”Laocoonte e i suoi figli” e venne riscoperta il 14 Gennaio del 1506 a Roma, sul Colle Esquilino, ma datata intorno al 30-40 a.C. La sua storia comprende vicende mitologiche, tratte dall’Eneide di Virgilio, ambientate durante la celebre guerra di Troia. Si narra infatti che durante il corso della battaglia, il sacerdote si fosse contrapposto all’accesso del destriero in legname dentro le mura della città, colpendolo con una lancia. In tutta risposta, Atena e Poseidone, schierati dalla parte greca, scagliarono verso Laocoonte e i suoi figli una coppia di enormi serpenti, che avvolsero i loro corpi stritolandoli a morte. In questo episodio, i rettili assumono significati simbolici, tratti anche da vicissitudini scritte all’interno della Bibbia, secondo i quali, appunto, il serpente sarebbe la personificazione di inganno e tradimento.

L’opera è una copia romana, realizzata in marmo, dell’originale in bronzo. I tre assumono una posa instabile, manifestando il proprio dolore fisico, rappresentato dai tratti di spiccata drammaticità che donano profondità ed espressione al capolavoro. Il suo corpo robusto presenta una notevole linea trasversale che parte dalla gamba sinistra protratta e continua lungo il tronco. I muscoli delle tre figure sono scolpiti e i dettagli ben definiti. Inoltre, l’evidente torsione del busto del veggente, marca lo sforzo nel tentare di liberarsi dall’animale. I tratti del volto appaiono cupi e scossi da un’ espressione di angoscia e lo sguardo è rivolto verso l’alto mentre la bocca è aperta, contorta in una smorfia di evidente dolore.  Entrambi i figli volgono i volti e gli sguardi, quasi come fosse una richiesta di soccorso, verso il padre, che non può aiutarli perché  morso dal serpente; la loro postazione trasmette inquietudine e regolarità alla composizione.

L’intero scenario richiama la maggior parte delle opere dell’ ellenismo, età che si sviluppa subito dopo la morte di Alessandro Magno, nel 323, contrassegnata da opere caratterizzate da notevoli espressioni teatrali, quasi caricaturali e con grande cura nei dettagli. Con questo lungo periodo, si intende tutto ciò che deriva dalla Grecia ma non ciò che è greco. Dunque è una cultura rielaboratrice, scarsamente creativa , ma raffinata; portata spesso ad accentuare caratteristiche di lontana ascendenza ellenica, con la perdita di quella misura, equilibrio, porzione che erano stati a fondamento in precedenza. Nettamente distinguibili, dunque, da quelle appartenenti alle fasi precedenti. I particolari assumono la loro importanza, poiché ognuno di essi è stato realizzato da uno scultore diverso con diverso modo di espressione (Agesandro, Polidoro e Atanadoro).

Una scultura di tale importanza e bellezza, venne immediatamente notato da papa Giulio II, che decise di acquistarla per poi collocarla all’interno del ”Cortile delle Statue”, posto al centro del Giardino del Belvedere, assieme ad un’altra scultura importante, l’Apollo del Belvedere, anch’esso copia in marmo di un’originale in bronzo raffigurante, però, il dio Apollo. Questa statua venne considerata per anni come un capolavoro artistico, nonché modello assoluto di bellezza maschile, e venne spesso adattata in varie opere, ad esempio nell’ ”Apollo e Dafne” di Gian Lorenzo Bernini, gruppo scultoreo realizzato tra il 1622 e il 1625, o nel Commodore Keppel di Reynolds, dipinto creato nel 1749, nel quale Apollo venne ritratto in abito settecentesco.

Un’altra rappresentazione del Laocoonte è quella raffigurata da El Greco (1541-1614), pittore spagnolo, che decise di ritrarre, in modo assai visionario, il sacerdote ed i suoi figli in un quadro delle dimensione di 142×193 cm, esposto nel National Gallery of Art a Washington. Nel ritratto è possibile osservare come i tre vengano uccisi, più che da una coppia di serpenti, da una malvagia potenza che li manipola, facendoli contorcere, contornati dalle luci violacee di una imminente tempesta.

Martina Sancini,Sara Mundo,Maria Grazia Maisto,Behtal Afihti.