• Sandro Botticelli
  • 1484/1485
  • Tempera su tela
  • 172 x 278 cm
  • Galleria degli Uffizi – Firenze

Alessandro di Mariano Filipepi, in arte Sandro Botticelli, nacque a Firenze nel 1445, nel pieno sviluppo del primo Rinascimento. Svolse il suo apprendistato nella bottega di Filippo Lippi, insieme ad un altro ragazzo, più giovane di sette anni, destinato anch’egli a diventare uno tra i più grandi maestri, pittori, ed inventori del mondo: Leonardo da Vinci. Botticelli iniziò ben presto a lavorare in proprio, a dipingere su tele e tavole le sue opere, spesso commissionate dalle famiglie Medici e Vespucci. Visse un considerevole periodo di assoluta grandezza e prosperità, sino a quando non trovò ispirazione ed ammirazione nella figura di Girolamo Savonarola, storico eretico e scismatico per aver proposto un modello teocratico per la repubblica di Firenze. Durante questo periodo, all’età di circa sessant’anni, il pittore, oramai abbiente ed abbandonato ad un profondo stato di irriconoscenza, fece scomparire la sua figura da ogni registro storico, fino a quando non morì nel 1510. Sandro Botticelli viene oggi considerato uno dei maestri del Rinascimento fiorentino anche per la sua tecnica pittorica, in parte separatista dalle innovazioni e dalle convenzioni di quell’epoca. I suoi quadri sono caratterizzati dalla mancanza della prospettiva centrale, ideata dall’architetto Filippo Brunelleschi, dalla ricerca di un armonioso equilibrio compositivo e dalla presenza di un disegno sottile, dinamico e molto raffinato che marca in chiaroscuro i contorni delle figure della tela. Alla linea, afferma il pittore, subordina tutto: il colore, le forme e i volumi.

Aprendo un dibattito sull’eccellenza di Botticelli, non è possibile tralasciare il quadro di maggior rilievo, successo, armonia e perfezione dell’intera sua carriera artistica: la Nascita di Venere. L’opera è stata posta per anni sotto la luce di critici d’arte, affidando loro la sua interpretazione, che per certi aspetti rimane tutt’oggi una sorta di tabù della storia dell’arte. L’ipotesi più accreditata è sicuramente la lettura mitologica del quadro, secondo la quale la scena rappresenta la nascita della dea Venere, da cui il nome, dalla spuma del mare. Tuttavia un’idea contraria la fornì il critico Giulio Carlo Argan, il quale suggerì persino un’ottica mistico-religiosa, secondo cui la genesi della donna dal mare, corrisponderebbe alla nascita dell’anima nell’acqua battesimale. Un’ulteriore ipotesi è il tema che si riconduce alla nascita dell’umanità generata dagli elementi primordiali della natura.

La Nascita di Venere, concepita e realizzata tra il 1484 ed il 1485, esposta nella Galleria degli Uffizi a Firenze, è una tempera su tela di dimensioni 1,72 x 2,78 m, ed è frutto di una tecnica impeccabile ed estremamente innovativa. Botticelli usò il supporto della tela in lino, estremamente insolito nella Firenze del Quattrocento, preparandola con uno strato di gesso tinto di blu, che diede al dipinto una tonalità azzurrina e dipinse a tempera magra, ossia con colle animali e vegetali e non con l’impiego dell’uovo come legante dei colori, in modo da far risultare la tela simile ad un affresco. Solamente partendo ed analizzando il quadro nella sua visione più complessiva si potrà in seguito capire che ruolo hanno i minimi particolari e dettagli che, ad uno sguardo poco attento, possono sembrare privi di significato e apparentemente casuali. Innanzitutto la prima domanda che sorge spontanea è dove realmente è ubicata la scena e se davvero esista un luogo da cui il pittore abbia tratto ispirazione. La critica fornisce una risposta positiva in merito, anche se, come detto in precedenza, si divide anche su questo aspetto: alcuni sostengono che le coste siano quelle dell’isola greca di Cipro, mentre altri preferiscono vedere nel quadro un’ambientazione più italiana, precisamente nel golfo, come si può notare dalla rientranza della costa nel lontano orizzonte della tela, della cittadina ligure di Porto Venere, da cui non casualmente ne deriva il nome, dove è attualmente presente una chiesa svettante su una scogliera dinnanzi al punto in cui la Dea si dice sorse dalle acque. Nel quadro Venere – che per i greci era Afrodite – poggia sul punto più instabile di una conchiglia alla deriva sulla costa, circondata da un mare calmo ed armonioso, le cui onde s’increspano regolari ed irreali. Le onde, la conchiglia, l’altezza egualitaria tra gli alberi, i personaggi ed il paesaggio, sottolineano la mancanza di un qualsivoglia realismo, finalizzato alla massima armonia e concordanza delle forme. Focalizzando lo sguardo su Venere, è possibile notare come la nudità della donna sia estrosamente coperta dalla sua mano destra e dai suoi lunghi ricci capelli rossi, raccolti con tre lacci, che tanto rimandano alla musa ispiratrice di Botticelli: Simonetta Cattaneo Vespucci, donna di una bellezza sopraffina. Il suo volto, anch’esso delineato da contorni neri sufficientemente marcati, è leggermente inclinato verso destra ed esprime un’immensa raffinatezza. La posa della Dea – seppur non innovativa, in quanto mutuata da altri dipinti e sculture – è un altro elemento che rimanda alla mancanza di realismo; difatti si tratta di un posa surreale, impossibile da riprodurre con fedeltà. Gli elementi mobili del quadro sono leggermente spostati verso la destra dell’osservatore, come se ci fosse una leggera brezza, tipica delle aree costiere. Effettivamente è così: l’uomo e la donna abbracciati, alla sinistra dell’opera, stanno volando in picchiata verso Venere. L’uomo è Zefiro, il lussurioso Dio del vento, che sta emettendo il suo potente soffio, rappresentato dal Botticelli con un piccolo trucco, con il fine di mostrare il bellissimo volto della Dea. A fianco invece si nota la donna, il cui sforzo non è assolutamente paragonabile a quello del suo compagno. Ella, secondo Giorgio Vasari, è Aura, la personificazione di una leggera brezza marittima. L’intento della coppia è certamente quello di facilitare l’approdo della conchiglia sulla vicina riva.

Sulla destra del quadro è presente una terza donna, la quale sembra stia quasi volando, che porge un telo finemente ricamato a Venere nel preciso istante in cui avrebbe toccato terra. Anch’ella appartiene al mondo della mitologia greca: è una delle tre Horae sacerdotesse, legata alla divinità minore della primavera, come si osserva dagli svariati fiori del suo lungo e leggiadro vestito. Anche i suoi capelli sono rossi e ricci ma, diversamente dalla protagonista, sono parzialmente raccolti da una treccia che parte cingendole il capo. In merito alle due donne laterali dell’opera la critica si spacca: la mitologia greca è varia e piena di figure ed è anche plausibile l’opzione che si tratti di due diverse versioni della stessa persona, dati i simili tratti somatici che Botticelli fornisce. Quest’ipotesi è accreditata dalla molteplicità di rose che stanno graziosamente cadendo verso il basso sotto le figure di Zefiro ed Aura. Esse sono infatti il simbolo della ninfa Chloris, Dea della primavera, la quale potrebbe essere stata rappresentata da Botticelli anche nella sua versione complementare, ovvero quella latina, della Dea Flora, sulla destra. Tuttavia ciò che è indiscutibilmente certo è che le due donne stanno, nella tela, svolgendo compiti nettamente diversi l’uno dall’altro. Tornando alla figura dal lungo vestito, è palese che ella stia porgendo una mantella a Venere, ma se ci si concentra sull’atto di per sé, è osservabile come il braccio, teso verso il capo della Dea, le sia molto vicino, tanto da ricondurre l’immaginazione all’atto del battesimo. Anche questo aspetto rimane in bilico fra diverse interpretazioni; ciò di cui si è sicuramente certi però è che, grazie all’ausilio di macchinari moderni, si sia scoperto come il collare floreale al suo collo e la mantella, siano stati aggiunti posteriormente dal pittore, per un suo puro ripensamento. Le figure sono prive di voluminosità e di consistenza: Botticelli difatti non si è minimamente preoccupato di disegnare le ombre, le quali mancano per ogni personaggio.
Ora che si è passati da una visione d’insieme ad una più focalizzata ai dettagli dei personaggi, è necessario analizzare gli elementi floreali che si trovano in secondo piano. Gli alberi che sovrastano l’angolo destro della tela hanno assunto con il passare del tempo un colore più scuro ed opaco; il verde usato più di cinquecento anni fa dal pittore oggi si presenta mutato, come d’altronde è normale che sia. Importanti sono i riflessi d’oro nelle piante di alloro e nell’erba che compone il suolo della costa, i quali marcano la maniacale ossessione di Botticelli per i dettagli, tanto da fornire addirittura lezioni di botanica, tutto racchiuso in una tela.
Botticelli fu un pittore sulle cui opere è possibile basare la stesura di libri storici, scientifici e mitologici, per questo motivo alla morte di un grande come lui, gli storici fanno coincidere la fine di un’era, nel caso suo quella del primo Rinascimento fiorentino.

Elia Monetti