• 190 a.C.
  • 245 cm
  • Marmo
  • Louvre – Parigi

Attribuita a Pitocrito grazie al ritrovamento del suo nome sul basamento della statua, la Nike di Samotracia è una scultura alta 245 cm in marmo pario di scuola rodia, databile al 190 a.C. Oggi esposta al Museo del Louvre, si erge maestosa in cima allo scalone progettato da Hector Lefuel che collega la Galerie d’Apollon e il Salon Carré, dove arrivò dopo essere stata ritrovata da Charles Champoiseau nell’isola di Samotracia dalla quale prende il nome, nel Mar Egeo, nel 1863. L’opera probabilmente rappresentava un’offerta commemorativa nel santuario dei Grandi Dei, i cabiri, dopo una vittoria navale delle città di Roma, Rodi e Pergamo contro la Siria.
La donna rappresentata è la dea Nike, figlia del titano Pallante e della ninfa Stige, la dea, come suggerisce il nome, è la personificazione della vittoria nella guerra e nel mondo sportivo.

La statua rappresenta la giovane dea alata mentre si posa sulla prua di una nave da battaglia. La figura si presenta protesa in avanti come scossa da un vento impetuoso, sul seno la veste è molto aderente e, diventando quasi trasparente, si può intravedere il corpo come se il tessuto fosse bagnato. Osservando la dea è visibile come grazie alle ali spiegate il suo corpo obliquo sia equilibrato. Esse sono rese con un gioco di chiaroscuro e un’alternanza precisa della lunghezza delle penne, dando risalto allo slancio della figura e creando effetti di vibrante luminosità.

La dea posa delicatamente il piede destro sulla nave, mentre la gamba sinistra rimane indietro e il petto si protende in avanti a causa del fitto battere delle ali, dando come la sensazione che questa stia atterrando dolcemente sulla nave per annunciare la vittoria. Alcuni frammenti ritrovati delle mani e dell’attaccatura delle spalle fanno dedurre che probabilmente il braccio destro fosse abbassato nell’atto di reggere il pennone che si trovava sulla spalla destra, mentre quello sinistro sollevato, con la mano aperta a compiere un gesto di saluto o nel reggere, forse, una corona. La venere è senza dubbio una delle opere più importanti e sensazionali di tutta la produzione ellenistica, poiché in essa è visibile il gusto ellenico per il virtuosismo nella resa del corpo femminile e per la sua esposizione teatrale e scenografica.

La Nike suscita un incanto popolare, il suo fascino sta, probabilmente, nell’assenza del volto. Per i primi quindici anni l’opera è stata esposta ricomposta solo in parte, senza ali e prima che venissero ritrovati anche i pezzi della prua, per rimpiazzare le parti mancanti si fece un abbondante uso di gesso. Un recente e accurato restauro ha portato alla luce lo splendore delle sfumature di marmo, e ha permesso di svelare nuove informazioni sul concetto e sulla decorazione del monumento.

Ramona Aricescu, Alex Cacciatore, Laura Fiocchi, Claudia Lleshi.

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