Le ricchezze accumulate dal più facoltosi abitanti di Pompei, permisero ad alcuni di loro di ampliare le proprie case in maniera smisurata. La più grande delle dimore pompeiane oggi conosciuta, è la cosiddetta Casa del Fauno, che copre una superficie di oltre 3000 m² occupando l’intero isolato. Nel suo complesso l’edificio risale al II secolo a.C., ma la zona del bagno e dei locali di servizio fu sottoposta a una ristrutturazione in cui venne aggiunto il secondo peristilio nel I secolo d.C. La dimora prende il nome dalla statuetta bronzea originale del fauno, che rappresenta un satiro danzante posta al centro dell’impluvium. La statuetta, come i mosaici policromi rivenuti tra il 1830 e il 1832, sono oggi conservati presso il Museo Archeologico di Napoli. Dalla villa provengono anche pezzi di oreficeria, oggetti in bronzo e altre suppellettili.
Questa Grande casa pompeiana, con ingresso su via della Fortuna, presenta elementi propri delle ricche dimore greco-ellenistiche. È dall’ambiente greco, che si diffonde nell’edilizia privata romana, il peristilio, lo spazio interno alla domus circondato da colonne e ornato di statue.
La casa del Fauno è una struttura speciale di cui parla perfino Dumas: le ville urbane e suburbane di Roma hanno una superficie media 700 mq. La Casa del Fauno coi suoi 3100 m² è una splendida eccezione nel panorama provinciale, nasce dall’accorpamento di due strutture esistenti adiacenti, difatti abbiamo due fauces (ingressi) adibite a diversi usi e due atrii, di cui solo uno è seguito dal complesso tablinum e alae (ufficio del padrone e ambienti di servizio, uno dei quali funge proprio da collegamento tra i 2 atrii). Nessuna delle due case comprendeva il grande peristilium (giardino circondato da colonne) che venne costruito successivamente alle spalle di quello centrale. In questo modo la casa “definitiva” va a costituire da sola un intero isolato (l’insula). La sua costruzione risale al II secolo a.C. quando quindi la città è ancora osca, anche se sul marciapiede, davanti all’ingresso principale c’è una scritta latina, “have”, salve: l’uso del latino in ambiente osco è del tutto eccezionale e solo nel 180 i cumani furono autorizzati a usare il latino nelle iscrizioni pubbliche. Un’ipotesi potrebbe essere che il proprietario avrebbe ottenuto la cittadinanza romana a titolo personale e avesse deciso di ostentarlo.

Le fauces dietro la scritta latina immettono nell’atrio principale che dà sul tablinum, quindi nell’atrio di rappresentanza, dove il signore riceveva la clientela. Le porte del tablinum probabilmente erano sempre aperte, in modo da far vedere la finestra sul fondo che inquadrava il primo peristilio sul cui fondo si trovava, inquadrata da colonne rosse, l’esedra col mosaico della Battaglia di Isso. La casa doveva quindi apparire al passante fin dal marciapiede, come una selva di colonne in cui spiccavano quelle rosse dell’esedra, che inquadravano, sullo sfondo di questa vera scenografia, il Vesuvio che le faceva ombra, immagine suggestiva che con il senno di poi sembra quasi un monito. Dalle altre fauces si accede a un atrio tetrastilo e da qui agli ambienti di servizio, la cucina, i balnea con vasche riscaldate tramite sofisticati sistemi sotto il pavimento e all’interno delle pareti, ambienti per affumicare e seccare il cibo. La casa è monumentale fin dall’esterno, dato che le fauces di rappresentanza erano affiancate da lesene corinzie e decorate con finte facciate di tempietto con 4 colonne e frontone, che stavano sopra mensole decorate con grifi e leoni alati, in modo da conferire un’aura di sacralità, mentre la pavimentazione era realizzata in opus sectile con marmo giallo, porfido e calcare, mentre sulla soglia c’è un mosaico in tessere piccolissime con ghirlande e maschere teatrali (opus vermiculatum). All’interno della casa ci sono poi altri ambienti decorati con mosaici che fanno di nuovo riferimento al teatro e quindi a Dioniso, ad esempio le cornici di maschere e il personaggio in sella a un animale simile al leone ma col mantello di tigre, ghirlande con fiori e frutti di ogni stagione a simboleggiare l’eternità, mosaici marini come quello del polpo che avvinghia l’astice e dei pesci, tema diffuso in area italica, e soprattutto il grande mosaico della Battaglia di Alessandro e Dario a Isso, che probabilmente riproduce un dipinto opera di Filosseno di Eretria stando a quanto racconta Plinio, in cui con un sapiente gioco di riflessi e prospettive, l’artista riesce a darci addirittura il ritratto di un guerriero di spalle.

Mariagrazia Foriglio

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