• 460 a.C circa
  • Bronzo, rame, argento e avorio.
  • A h. 205 cm – statua B h. 197 cm
  • Reggio Calabria – Museo Archeologico Nazionale

I bronzi di Riace sono due rarissime sculture greche del V secolo a.C. ritrovate in mare, nel 1972, al largo della costa di Riace Marina presso Reggio Calabria. Probabilmente sottratti a qualche santuario, i bronzi costituivano il prezioso carico di una nave romana naufragata per una tempesta. Si tratta di due figure maschili nude di dimensioni leggermente superiori all’uomo vero. Le statue sono caratterizzate dall’equilibrio nella resa anatomica e perfezione proporzionale delle parti del corpo, e rientrano pienamente nel periodo Severo per le caratteristiche della posizione, per la testa leggermente voltata a destra e per la cesellatura dei riccioli di barba e capelli. Presentano delle differenze, dovute alla diversa epoca in cui sono state realizzate e alla diversa mano di chi le ha concepite.
Il bronzo, quello con la capigliatura che scende sul collo è stato datato al 476 a. C, forse opera di Agelada il Giovane . Rispetto all’altro, presenta una muscolatura leggermente accentuata, che trasmette un senso di tensione e rigidità. L’altro bronzo con la capigliatura originariamente raccolta in un elmo oggi assente, e invece attribuito ad Alcamene il Vecchio E risale al 430 a. C . Quest’ultimo mostra un’evoluzione stilistica con un ammorbidimento della posizione della muscolatura e una curvatura del bacino più marcata. In origine, come mostra la posizione delle mani, i guerrieri impugnavano uno scudo con la sinistra e una lancia con la destra. I capelli della statua sono resi con un intreccio particolarmente elaborato, e la massa delle ciocche è formata da una benda.
La posizione fluida del corpo e la straordinaria resa anatomica della muscolatura, sono particolarmente evidenti nel lato posteriore della statua.
Per aumentare il realismo, alcuni particolari furono realizzati con altri materiali: le labbra e i capezzoli in rame, i denti in argento e gli occhi in avorio. Le due sculture splendidamente restaurate, ricordano nella posizione il Doriforo di Policleto.

Entrambe le sculture vennero eseguite con la tecnica della fusione a cera persa, preparate in parti staccate e congiunte per mezzo di saldatura.
La fusione a cera persa avveniva attraverso alcune fasi di lavorazione: lo scultore realizzava con l’argilla il corpo della statua, che costituiva il modello per tutta la lavorazione. Disponendo del gesso attorno al modello, ne ricavava il calco in negativo. La forma impressa nel calco veniva rivestita con uno strato di cera liquida stesa a pennello e poi rimontata nella posizione iniziale. Si procedeva nel riempire la cavità dello stampo con terra refrattaria, cioè resistente al calore. In questa fase la scultura si reggeva per mezzo di un’impalcatura interna. Quando la terra refrattaria era completamente essiccata, il modello veniva liberato dagli stampi in gesso che lo bloccavano e appariva ricoperto da uno strato di cera. Venivano quindi saldati i canali di fusione attraverso i quali far colare il bronzo fuso. Riscaldando il calco di fusione a circa 200°/300°, la cera riposta sul modello si scioglieva e fuoriusciva da piccoli canali. Sistemato il calco in una fossa, il bronzo fuso a una temperatura di 1100°, veniva colato attraverso condotti nello spazio prima occupato dalla cera. Una volta raffreddato il bronzo, veniva rotto il calco esterno e la statua era liberata dei canali per la fusione.
Poiché ora la coesione del metallo è molto superiore a quella della pietra, le parti più sporgenti di una statua fusa non hanno bisogno di essere sorrette da puntelli come accade nella struttura in pietra. L’artista ha così una libertà espressiva maggiore nel rappresentare figure in movimento.

Margherita Bonaiuti, Natasha Casula, Maria Grazia Foriglio, Giulia Santoli.

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Bronzi di Riace