• Piero della Francesca
  • 1455/1460
  • Tempera su tavola
  • 58,4×81,5 cm
  • Galleria Nazionale della Marche – Urbino

La Flagellazione di Cristo è una delle opere di Piero della Francesca più rappresentative del Rinascimento italiano, il quale, è lecito affermare che operò nella riscoperta delle origini, con una riproposizione di elementi del mondo classico, in forte contrasto con i limiti del periodo medievale, ma è anche una delle più enigmatiche, profonde e irrisolte. L’opera venne realizzata intorno al 1453 ed è attualmente conservata nella Galleria Nazionale delle Marche di Urbino. Sebbene possa apparire un dipinto di notevoli dimensioni, esso si sviluppa in appena 59 centimetri di altezza per 81 di lunghezza, mettendo in evidenza la straordinaria capacità dell’artista di sintetizzare una realtà concreta con esatti calcoli matematici, in linea con l’idea cinquecentesca di riprodurre il vero. Il mistero di quest’opera è prevalentemente legato alla mancanza di informazioni complete riguardanti la sua storia: i documenti sono insufficienti per conoscere l’identità del committente e risulta essere oscura anche la sua interpretazione. Le prime notizie provengono da un inventario delle opere d’arte e degli arredi della cattedrale di Urbino, redatto nel 1744 dall’arciprete Ubaldo Tosi, il quale permette di collocare l’opera all’interno della sacrestia della vecchia chiesa. Il soggetto dell’opera, come si può intuire dal titolo, è Cristo, immortalato durante la flagellazione, ovvero il momento di grande pena corporale, imposta da aguzzini attraverso colpi di frusta; sebbene questa sia la scena principale, viene presentata in secondo piano, mediante un cosciente e preciso uso della prospettiva, di cui Piero fu uno dei più grandi promotori. Una delle grandi particolarità di quest’opera è infatti la divisione della scena in due parti, che stanno in rapporto aureo, ovvero, formando due aree rettangolari con lunghezze disuguali, le scene sono equilibrate mediante l’uso di un numero irrazionale e algebrico, che testimonia le conoscenze dell’artista e la sua volontà di pervadere l’opera di simbolismo matematico.

Affianco a Cristo appaiono tre uomini: il forte dinamismo trasmesso dal gesto dell’uomo alla sua sinistra, intento a frustarlo con tutta la sua forza, trova un evidente contrasto con la rappresentazione statica delle gambe. L’uomo al centro indossa un vestito grigio chiaro ed un turbante e a differenza del primo, non partecipa alla violenza, ma evidente è la gestualità: con la mano accenna un movimento che ha suscitato l’interesse dei critici, alcuni dei quali lo hanno interpretato come una sollecitazione al cessare la violenza. Anche l’aguzzino alla destra di Cristo partecipa all’atto e mediante l’abilità di Piero della Francesca nel dipingere scene dinamiche, viene immortalato chiaramente nell’intento di scoccare un potente colpo di frusta. L’ultimo personaggio presente è un uomo seduto su un trono, simboleggiante Pilato, il cui abbigliamento tipicamente bizantino lo rende identificabile con l’imperatore Giovanni VII Paleologo . Sui gradini del trono è presente un’iscrizione in lettere romane: OPVS PETRI DE BVRGO S[AN]C[T] SEPVLCRI, ovvero “Opera di Pietro dal borgo di San Sepolcro”, la quale identifica Pietro come realizzatore dell’opera. L’edifico dove avviene la scena é retto da colonne classicheggianti e può essere suddiviso in sei campate; sopra la centrale della fila di destra si trova la colonna a cui è incatenato Cristo. Questa campata è il fulcro visivo della costruzione; il quadrato che la inscrive nel pavimento rimanda alla grande questione geometrica della quadratura del cerchio: la posizione di Cristo coincide con la proposta di punto di quadratura, quindi assume anche un significato allegorico, essendo una prova del superamento dei limiti dell’ingegno umano e una testimonianza della sua natura divina.


In primo piano sul lato destro, a seguito di una colonna di evidente gusto classico, finalizzata al dividere le scena mistica con il mondo esterno, regolato da una diversa concezione ed illuminazione, appaiono tre personaggi, riguardo la cui identità si è discusso a lungo. L’uomo a sinistra presenta un abbigliamento tipico bizantino, indossato solitamente da uomini che intraprendevano lunghi viaggi, l’anziano sulla destra indossa un abito finemente decorato color oro e azzurro. Il giovane al centro, invece, non veste abiti quattrocenteschi, bensì una tunica rossa e nessuna calzatura. Queste tre figure presentano dimensioni relativamente grandi che le rendono percepibili immediatamente all’occhio umano, prima ancora di soffermarsi sulla scena della flagellazione e questo è reso possibile grazie al corretto uso delle leggi prospettiche, impiegate durante il periodo rinascimentale e volte a delineare il ruolo del personaggio in primo piano, che spesso testimoniava, commentava o diveniva un mediatore tra lo spettatore e l’evento. Conoscere l’identità dei tre personaggi e la loro relazione con la scena della flagellazione ha destato la curiosità di molti; le interpretazioni più antiche e tradizionali si dividono in due linee: storico-dinastica e allegorica. Focalizzando l’attenzione sulla corrispondenza tra la figura di Cristo e il giovane centrale nel gruppo degli astanti, si nota che entrambi sono al centro delle rispettive scene e hanno pose molto simili; questo è il punto di partenza di ogni interpretazione, poiché tutte ricercano, tramite il parallelismo, di definire l’identità dei personaggi. L’interpretazione storico-dinastica vede nel giovane Oddantonio, il fratellastro di Federico da Montefeltro, ucciso a soli diciassette anni in una congiura (22 Luglio 1444), il simbolo del sacrificio, dell’innocenza, paragonabile alla Passione di Cristo. Le interpretazioni dei personaggi laterali sono più complesse: si parla di Federico stesso e del primo figlio Guidobaldo, oppure dei due consiglieri responsabili della morte di Oddantonio; dunque si pone nuovamente l’attenzione sul significato allegorico della congiura: questi due personaggi, con loro politica impopolare, furono la causa del sacrificio di un innocente.

In contrasto, le interpretazioni allegoriche escludono la storicità delle figure rappresentate, sostenendo la loro entità biblica o simbolica: esse sono quindi tre sacerdoti che, per timore di peccare, rifiutano di assistere alla violenza su Cristo, o ancora, le tre figure sono le personificazioni di ebraismo, paganesimo greco ed eresia platonica occidentale.Un’interpretazione ove ricorre nuovamente il parallelismo con la figura di Cristo, è l’ipotesi che il giovane al centro sia un Angelo con ai lati la Chiesa latina e la Chiesa ortodossa, la cui divisione produce le sofferenze del Cristianesimo. A sostegno dell’ipotesi del parallelismo,  analizzando la composizione geometrica delle due scene immortalate, i collegamenti tra le figure e gli spazi escludono che il nesso tra le due metà sia casuale ed evidenziano la straordinaria capacità di Piero non solo nelle vesti di artista, ma ancor di più nella progettazione dell’opera, per la realizzazione della quale, probabilmente si avvalse di uno sviluppo in pianta e in alzato, come era solito fare per le reali costruzioni architettoniche. Piero utilizzò nei calcoli un modulo, come sarà dimostrato dallo storico Kenneth Clark, che corrisponde a 4,699 cm; il dipinto intero misura 7×10 di queste unità, mentre la colonna centrale misura 4×0,5 unità, determinando una perfetta simmetria tra le figure. Questa dovizia nel rappresentare il reale indica il grande cambiamento di mentalità rispetto al periodo medievale, che riponeva l’attenzione non tanto all’aspetto architettonico dell’opera, ma al suo significato allegorico e all’istruzione che poteva impartire all’osservatore. Durante il Rinascimento quindi, svanisce l’inespressività dei volti, la rappresentazione astratta dello spazio, nella maggior parte dei casi interpretato come un semplice sfondo dorato e inizia ad assumere importanza la collocazione spaziale della scena. Questo elemento è chiaramente evidente in quest’opera, che vede come protagonisti l’architettura e la luce: è presente infatti uno scorcio di città, che funge da sfondo alla composizione, dove viene rappresentato, secondo alcune interpretazioni, il Duomo di Ferrara, attribuito a Leon Battista Alberti. Particolarmente complessa è la luminosità: all’esterno la luce proviene da sinistra, mentre all’interno della loggia, dove si svolge la flagellazione di Gesù, si propaga attraverso le ampie aperture, in maniera differenziata nelle varie parti. Questa differenza tra le due parti del dipinto potrebbe essere dovuta ad una volontà di rimarcare il regno divino dalla parte destra.
La Flagellazione è l’espressione più compita della mistica rinascimentale della misura”. Kenneth Clark

Francesca Zangaro