• Gustave Courbet
  • 1844/1845
  • 44×55 cm
  • Olio su tela
  • Collezione privata

Un uomo ossessionato dalla realtà e dal realismo; gli occhi neri sgranati per una visione fin troppo definita della cruda, banale e forse orrorifica realtà. Un atteggiamento distaccato del poeta da ciò che lo circonda e che si ritrova a descrivere, senza soggetti mitologici o biblici, ma unicamente l’esistenza tangibile e percepibile. La libertà è palese in tutta l’opera: dalla barba e i baffi disordinati, alle ciocche scompigliate che si distribuiscono intorno al viso; fino alle gote eccessivamente rosse, come se volessero urlare: sono ubriaco! forse volendo essere la rappresentazione di una delle sue reali ubriacature; oppure all’estremo opposto, il viso di un uomo appena alzato dal letto dopo una lunga notte di sonno.

I tendini visibili, le vene del collo percepibili e le maniche sgualcite, un’immagine che diventa quasi teatrale, eccessiva, come se i suoi movimenti e le sue emozioni fossero volutamente accentuate per farle percepire al più lontano dei suoi spettatori. L’immagine di un disperato, solo nell’aspetto però, che si guarda allo specchio. Non ci è dato sapere se sia realmente spaventato da qualcosa, o se questa espressione sia dovuta invece ad un’attenta e profonda analisi interiore che l’autore fa di sé. Decide di rappresentarsi con una pacata, anche se non troppo velata, autoironia, esasperando la rappresentazioni di alcuni caratteri, allontanandosi dalle consuete pose utilizzate per gli autoritratti, mostrando la sua parte umana fin quasi a sfidare le rigidità imposte allora ad un’artista. La disperazione, dunque, diviene emblema del tentativo di un’uomo di guardarsi allo specchio e compiere un lungo viaggio dentro se stesso, ricollegando pensieri e opinioni, per poi imprimerli su una tela bianca.

Lo spettatore non viene a contatto con una scena artefatta, ma viene ferito agli occhi da una realtà cruda, senza abbellimenti e in qualche modo sconcertante e terrificante. Gustave Courbet nel suo autoritratto si mostra per come è: uno spirito libero. Si definiva “appartenente alla libertà”, libertà di pensare, capire, descrivere, avere un’etica e una morale: sostanzialmente essere libero di sentirsi parte di quello in cui si crede. Il “maledetto realista”, così si descriveva, deciso a rappresentare la realtà in ogni suo aspetto, indipendentemente dal terrore o dall’orrore che può provocare, indipendentemente se ciò implicava il mostrarsi come “ il disperato” o sfidare le imposizioni del suo tempo, mostrando “L’origine del mondo”. Ed è proprio da questa visione libera, realista che in quest’opera  si può  cogliere pienamente il significato del suo motto: “Fai quello che vedi, che senti, che vuoi”.

Nicole Tenace