• Edvard Munch
  • 1892
  • Olio su tela
  • 85,5×121 cm
  • KODE Art Museums – Bergen

Personaggi dipinti in nero con facce bianche cadenti si riversano come dei fantasmi, inarrestabili, verso lo spettatore. L’opera Sera sul Viale Karl Johan di Edvard Munch è una scena di un incubo, un sogno angosciato che si è trasformato in un quadro. Munch non è mai stato felice. Si è opposto in ogni senso. Vide il celibato come una sofferenza, la libertà come schiavitù e stanze come  claustrofobia. Nemmeno gli importava della vita di strada. Munch dipinse questa veduta del Viale Karl Johan, la via principale di Cristiania, l’attuale Oslo, nel 1892; in precedenza, aveva dipinto immagini relativamente realistiche della strada, ma qui diventa il teatro di una visione espressionista dell’ansia.

Egli sradica i dettagli, le finestre illuminate sembrano fluttuare nello spazio come enormi aquiloni rettangolari, e le facce sono senza tratti tranne i loro occhi fissi e spalancati, e in un volto, una barba e baffi. Quella che nella vita reale era una passeggiata prima del teatro o dopo cena, è stata filtrata attraverso un’angoscia sensibile per diventare una scena orribile. La forte composizione diagonale, con le facciate delle case sul lato sinistro del quadro, posizionando in primo piano i passanti nella serata, crea una sensazione di claustrofobia, di soffocamento, di oppressione.

Munch divide la tavolozza cromatica in tre blocchi di colori; le facciate rosse, le figure nere e il cielo blu scuro dietro, e in un disegno semplice ed efficace. I suoi colori sono luridi: giallo acido, blu scuro e viola, malva e pece; potrebbero quasi provenire da Van Gogh, ma l’effetto è diverso. In Van Gogh i colori brillano di luce verso l’esterno, mentre qui, sembrano provenire da uno stato di sogno in cui tutto è irreale e stranamente alterato.

Tagliando la vista per non mostrare i corpi dei personaggi, Munch crea un senso di minaccia; le teste sono ancor più da incubo e sembrano più vicine allo spettatore, quasi scoppiando fuori dal quadro. Le tecniche di ritaglio di Degas, le stampe giapponesi e la fotografia, forniscono a Munch un metodo di intimidazione della minaccia e dei disordini, mentre il vuoto e lo sguardo inflessibile dei borghesi, passeggiando, calano sullo spettatore, come ad evidenziare le maschere che queste persone sono costrette, dalle loro regole e dalle loro convenzioni, ad indossare. Questo umore di catalessi notturna viene dall’esperienza di Munch mentre era in attesa di una donna che doveva incontrare: “Lei lo salutò con un sorriso dolce e continuò a camminare… Tutto è diventato così vuoto e lui si sentiva così solo… Le persone che passavano gli sembravano strane e goffe e aveva l’impressione che tutti quei volti pallidi nella luce della sera lo guardavano“. Tuttavia, rispetto a “L’urlo“, quest’opera è più simbolista che espressionista e la sua potenza pura, è nascosta sotto il bel cielo blu e le lampade ad incandescenza, una superficie di velluto che nasconde il terrore.

L’unico personaggio, contro corrente e che cammina in mezzo alla strada, evoca la  situazione di Munch come un artista “bohémien” e radicale, braccato dalle autorità della classe media nel soffocante parrocchialismo di Christiania, in contrasto con il mondo più ampio e all’avanguardia di Berlino o Parigi cui ambiva. Una feroce critica alla società del tempo, un’accusa all’alienazione e allo spaesamento dell’umanità nella società moderna e alle convezioni della borghesia del tempo.

Jamal Essamlali